Differenziarsi dai Nodi e dalle Cerchie Familiari
Introduzione di Emanuele Casale
Sempre più sono gli individui che permangono nelle Cerchie Familiari, nell’ambiente della propria fanciullezza e in seno alla famiglia fino ad età inoltrata. Alcuni dati statistici attestano che l’Italia è uno tra i paesi sviluppati con il più alto tasso di individui che, spesso seppur autonomi sul piano economico, permangono ancora nella casa familiare e con i genitori oltre i 30 anni.. a volte “per sempre”.
Alcuni, credendosi più cresciuti e scaltri, consapevoli sotto sotto dell’innaturalezza di tale dinamica, trovano invece altri escamotage, tra i quali è molto noto quella dell’uscita da casa (la casa affianco!) che si traduce nel cercare spesso alloggi e case molto vicine a quelle dei genitori. Si rimane così sempre invischiati nelle Cerchie Familiari, in quel mood psichico originario, della fanciullezza, dei ricordi, del “è sempre stato”, senza mai superare quelle atmosfere e nodi psichici da sempre nati, protratti e cresciuti all’interno del sistema familiare.
Si può senza dubbio dire che, molto tristemente, per molti la famiglia d’origine finisce per essere davvero la sola e unica famiglia della loro vita, senza mai costruirne una propria, nuova, differenziata, più appropriata alla maturazione del proprio Sè, senza mai essere capaci dunque si essere generativi (e non per forza in senso letterale, cioè nel senso di creare una famiglia con moglie, figli e annessi, ma anche in senso metaforico, come vedremo più avanti).
Costruire una propria famiglia non coincide, in linguaggio psicologico soprattutto, a dover costruire una famiglia canonica attraverso un matrimonio, dei figli e quant’altro. La famiglia che un individuo può costruirsi.. anzi, non che “può”, ma che “deve”, perchè ne necessita la propria natura, è composta anche da amici molto intimi, anime affini, persone che si conoscono da una vita, altre che si sono incontrate durante i vari percorsi di vita e tutte quelle persone care che, in tutti questi infiniti cammini individuali, ci sono rimaste a fianco, e noi siamo rimaste a fianco a loro..
Quante volte molti di noi hanno sentito nel profondo che esistono e si creano “famiglie dell’anima” che vanno al di là del legame di sangue. Questo lo esprimeva benissimo il poeta Kahlil Gibran, quando scrisse:
“Credo vi siano al mondo gruppi di persone e individui che sono affini,
indipendentemente dalla razza.
Dimorano nello stesso regno della coscienza.
E’ questa la parentela, semplicemente questa.”
Il mondo animale è maestro in tale lezione: i cuccioli di felino, ad esempio, vengono allattati, curati e difesi dalla madre, ma soltanto fino al momento in cui la natura li fa diventare in grado di procurarsi cibo da sè, difendersi da sè, cacciare da sè o in branco, ecc.
E’ questa una legge del mondo animale, a cui per natura apparteniamo anche noi specie umana, che abbiamo del tutto stravolto, deviandola fino ad estreme conseguenze. Le conseguenze di una tale lontananza da un aspetto così innato e spontaneo nella nostra natura, sono gli innumerevoli disturbi psichici, malattie mentali quali la schizofrenia, provenienti spesso da tessuti familiari malsani, oppure, se non malsani, tessuti accuditivi o fatti di troppi nodi protratti fino ad oltranza.
Qui di seguito sono stati inseriti estratti molto pregnanti ed esemplari riguardo questa tematica, passando da Jung, Carotenuto a Rilke. Alla fine del post troverete una raccolta ben scelta di libri sull’argomento.
Ed ora, come sempre, lascio spazio e la parola ai giganti…
Buona lettura!
PSICOLOGIA della FAMIGLIA D’ORIGINE
«Non è possibile vivere troppo a lungo nell’ambiente della propria fanciullezza o in seno alla famiglia senza che ciò costituisca un certo pericolo per la salute dello spirito. La vita chiama l’uomo fuori, verso l’indipendenza, e colui che per indolenza o timidezza infantili non obbedisce a questo appello è minacciato di nevrosi. Una volta scoppiata, la nevrosi diverrà progressivamente una ragione sempre più valida per fuggire la lotta con la vita e per rimanere impigliati per sempre nell’atmosfera moralmente velenosa dell’infanzia.»
(C.G.Jung – Simboli della Trasformazione, Edizioni Bollati Boringhieri, p.299)
«Non v’è nulla che abbia un influsso psichico più forte sull’ambiente circostante, e in special modo sui figli, che la vita non vissuta dei genitori.»
(C.G.Jung, 1929, p.6)
« ..i genitori proiettano sul proprio figlio l’ombra che non possono riconoscere nella propria vita. Il figlio è stato costretto dai genitori a caricarsi di tutti quegli aspetti d’ombra della esistenza che essi non sono stati capaci di integrare.»
(Amare Tradire: Quasi un apologia del tradimento, di Aldo Carotenuto, Edizioni Bompiani, p.35)
La Sindrome degli Antenati. Psicoterapia Transgenerazionale e i Legami Nascosti nell’Albero Genealogico
«Tutta la libido costretta nei vincoli familiari dev’essere ritirata da quella cerchia angusta per essere trasferita in una più ampia, giacchè per il benessere psichico dell’individuo è necessario che egli divenga da adulto il centro di un nuovo sistema, dopo essere stato nell’infanzia una semplice particella gravitante attorno all’antico centro. …la libido non utilizzata finirà inevitabilmente con il restare impigliata nel rapporto endogamo inconscio con i genitori, privando l’individuo di elementi essenziali della sua libertà.
Ricordiamo quanto Cristo insistesse nella sua predicazione sulla necessità di un distacco radicale dell’uomo dalla sua famiglia, non si proponeva che uno scopo: liberare l’uomo dal suo attaccamento alla famiglia, che non è affatto imposto da una pretesa intelligenza superiore, ma che è da imputare semplicemente a un’estrema mollezza e alla mancanza dell’energia necessaria per dominare i propri sentimenti infantili. L’uomo, infatti, che lascia straripare la sua libido fissata all’ambiente dell’infanzia e non la libera per incanalarla verso mete più alte, cadrà in potere di una coazione inconscia. Dovunque egli sia, l’inconscio tornerà sempre a creargli l’ambiente infantile mercè la proiezione dei suoi complessi, ristabilendo così di continuo e contro i suoi interessi vitali, la stessa dipendenza e la stessa carenza di libertà che in passato caratterizzavano il suo rapporto con i genitori. Il suo destino non è più nelle sue mani. La libido, che rimane così fissata nella sua forma più primitiva, trattiene l’uomo a un livello corrispondentemente basso, a un livello cioè nel quale egli, lungi dall’avere il dominio sugli affetti, ne è al contrario alla mercè.»
(C.G.Jung – Simboli della Trasformazione, Edizioni Bollati Boringhieri, p.403)
Dalla Famiglia all’Individuo. La Differenziazione del “sè” nel Sistema Familiare
Quante volte si vedono figli non più giovani che vivono ancora con la madre (non mi riferisco, ovviamente, ai giovanissimi) e per i quali non è neppure sorto il conflitto che la spinta alla propria individuazione dovrebbe rendere a un certo punto esplosivo, inarrestabile. Molti giovani vivono in un limbo di possibilità, come barche splendide che si consumano nella darsena. L’universo si riduce al “cantiere familiare”, al “noto” delle piccole rassicurazioni e ricompense, dei piccoli e grandi delitti psicologici, eredità dei nonni e degli avi, pronti a tramandarsi nelle generazioni future. Si resta incagliati nella “secca” dei codici esistenziali e comunicativi della famiglia d’origine, invasi dai suoi pregiudizi e completamente inconsapevoli dell’oceano immenso e nuovo, adiacente, attorno a sé. Avere in proprio potere la dimensione psichica dei figli permette al genitore di garantirsi un’importanza, un ruolo preciso: il che è possibile solo se il figlio rimane “quel figlio” che ad essi serve per sopravvivere psicologicamente senza troppi conflitti. Quanti di noi sono ancora figli nel senso indicato, legati mani e piedi a un invisibile incesto psicologico?
Mi tornano alla mente le ultime pagine di quel capolavoro di Rainer Maria Rilke che sono i suoi ‘Quaderni di Malte’. Qui il poeta elabora una sua versione della parabola del figliol prodigo e scrive (Rilke 1910, p.263):
«Nella parabola del figliol prodigo, io mi ostino a ravvisare la leggenda di colui che non voleva essere amato. E si durerebbe fatica a dissuadermene.»
Non è semplice entrare pienamente in questo scritto di Rilke perché esso contiene, in un linguaggio poetico, un significato psicologico assolutamente rivoluzionario. Il figliol prodigo è per Rilke colui che è costretto a lasciare la casa paterna perché si rende conto che quello che lì viene amato, chiamato col suo nome, atteso per la cena, festeggiato per il suo compleanno ‘non è egli stesso’. Il figliol prodigo rifiuta quell’amore che non è ‘per lui’, quei doni che non sono ‘per lui’, e in questo senso è la parabola di “colui che non volle essere amato”.
Rilke narra poi con splendida arte, le peripezie di questo giovane alla ricerca di se stesso, il contatto con la natura, l’attesa dell’amore di Dio e infine, il ritorno a casa. Il tornare a casa del figliol prodigo non viene presentato da Rilke come un atto di rinuncia alla sua ricerca, ma come un superamento del tradimento. Come se egli capisse che la casa paterna in cui si viene disconfermati per ciò che si è più intimamente è una manifestazione della vita stessa, del tradimento della vita (Rilke 1910, p271):
«Forse, allora, restò. Perché gli avvenne di accorgersi via via sempre di più, come quell’amore, di cui gli altri si mostravano tanto vanitosi stimolandovisi a gara, non riguardasse la sua persona solamente.
Avrebbe quasi sorriso di pietà, vedendoli arrabattarsi, per nulla, così. Appariva chiaro che non pensavano al Reduce. Che cosa sapevano, infatti, di lui? Amarlo, era divenuto, adesso, terribilmente difficile.
Egli sentiva che Uno solo sarebbe stato tanto da farlo.
Ma – quell’Uno – ancora , non voleva.»
Rilke ha colto il tradimento del figlio, la tragedia di non essere amato, di essere frainteso dall’ “amore” dei genitori. E ha colto anche la risposta più umana e più saggia che si possa dare a questo equivoco terribile: andare via e tornare, cioè, in termini psicologici differenziarsi dagli aspetti malsani di quell’amore e poi perdonare, provare pietà per questi genitori che si “arrabattano, per nulla, così”. Questo vuol dire che il genitore capace di amarlo è diventato una figura interna, divina, quell’ “Uno” di cui parla Rilke, la cui disponibilità a venir fuori è lenta, lentissima, un vero mistero.»
Amare Tradire: quasi un’apologia del tradimento (Aldo Carotenuto)
«Il giovane che si libera dalla costrizione delle Cerchie Familiari e sceglie la propria autonomia si troverà a fronteggiare difficoltà, dolori, ansie e l’immagine persecutoria del figlio fantasticato dai genitori. E’ così che la lotta ‘per’ qualcosa diventa lotta ‘contro’ qualcosa. La posizione di Gesù, dal “tradito” per eccellenza della nostra storia, appare del resto decisa nei confronti delle collusioni proprie del cerchio familiare. Quello di Gesù si configura inequivocabilmente come messaggio di divisione e conflitto, messaggio dunque che, a suo modo, investe l’area potenziale del tradimento (Matteo 10.34-35):
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera…”» Come afferma infatti Hanna Wolff (1975) in riferimento al passo del Vangelo di Matteo sopra riportato:
«Per quanto possa suonare presuntuoso, solo la psicologia del profondo può capirlo fino in fondo. In effetti Gesù ‘scioglie da’, ‘divide dal’ collettivo della famiglia. Egli dissolve la ingenua ‘participation mystique’, affinchè possano venire alla luce individui singoli, indipendenti e responsabili.»
Jung e le Costellazioni Familiari
Non tutti sanno che Jung fu il precursore e originario Padre della Terapia Familiare moderna e dell’ampio discorso circa le Costellazioni Familiari. Divenne infatti famoso in ambito psichiatrico grazie ai suoi test d’associazione in ambito sperimentale e clinico con cui delineò i cosiddetti “complessi a tonalità affettiva”, arrivando da questi anche ai “complessi familiari”. Nel seguente Volume d’opera (n.2), è presente il suo saggio intitolato “La Costellazione Familiare”. Scrive nella sua autobiografia:
«Mentre lavoravo al mio albero genealogico, ho capito la strana comunità di destino che mi collega ai miei avi. Ho fortemente il sentimento di essere sotto l’influenza di cose o di problemi che furono lasciati incompiuti o senza risposta dai miei genitori, dai miei nonni e dai miei antenati.
Mi sembra che spesso ci sia in una famiglia un karma impersonale che si trasmette dai genitori ai figli. Ho sempre pensato che anche io dovevo rispondere a delle domande che il destino aveva già posto ai miei antenati e alle quali non si era riuscito a trovare nessuna risposta, o anche che dovevo risolvere o semplicemente continuare ad occuparmi di problemi che le epoche anteriori lasciarono in sospeso. La psicoterapia non ha ancora tenuto abbastanza conto di questa circostanza.»
(C.G.Jung – Ricordi, Sogni, Riflessioni – Autobiografia)
«Mi è sempre sembrato di dover rispondere a problemi che il destino aveva posto ai miei antenati, e che non avevano ancora avuto risposta; o di dover portare a compimento, o anche soltanto continuare, cose che le età precedenti avevano lasciate incompiute.»
(C.G.Jung – Ricordi, Sogni, Riflessioni – Autobiografia)
www.jungitalia.it
Ambiente Olistico staff